Il mito nelle foto
Ma quante foto Marilyn! Quante! Adolescente, ragazza, donna. No, vecchia no. S’è fermata a 36 anni. E però questi scatti la rendono eterna, più di una vita, più di un film.
Monroe che sorride. Monroe triste. Monroe indecifrabile. Al mare. Sul set. A letto. In vasca da bagno. Per strada. In automobile. Mentre conversa con attori, amici, amanti. Qui ascolta distrattamente Clark Gable, intento a raccontare qualcosa che – possiamo immaginare – comunque si riconduce all’argomento cinema. Insieme, nel 1960, interpretano Gli spostati, regia di John Huston.
Tutto è stato detto di Marilyn Monroe. Hollywood che non l’ha capita. I film che ha fatto e quelli che non ha potuto fare. L’infanzia difficile, gli amori, il teatro, i libri, la voglia di cultura, le aspirazioni intellettuali.
Soprattutto il giallo della morte tragica. E però, a pensarci bene, non è il mistero di quella fine – omicidio o suicidio? – che l’ha resa immortale. È in queste foto ch’è racchiuso il segreto della sua Lunga durata. Della Marilyn Monroe inedita.
Una leggenda che si fa mito. Un mito che si fa leggenda. La storia del cinema, del fascino, del carattere, della professionalità, del lavoro delle donne. E poi le foto.
Che sorpresa! Marlene Dietrich e Marilyn Monroe si stimavano, ma quanti hanno visto Marilyn che rifà Lola Lola de L’angelo azzurro?
Miracolo delle foto. Davvero giallo appassionante. Mozzafiato. Perché continuamente se ne scoprono delle nuove. Chissà quante nei cassetti, nelle cassaforti, ereditate, scoperte, dissotterrate, nella polvere, sottratte alla polvere, confuse tra le vecchie cose dei mercatini, in possesso di produttori gelosi, di padroni dell’industria cinematografica. Gente che magari proprio da quegli scatti prende spunto – da una Marilyn Monroe inedita – per un nuovo film. Che in realtà nuovo non è.
Tutto si ribatte, si rimastica, si ricicla nella fabbrica dei sogni. Non le sfumature di quella luce negli occhi.
La luce di Norma Jeane, una ragazza che lavora in fabbrica. Poi arriva il primo fotografo e resta fulminato. L’incanto del viso, dello sguardo. Diventa modella la giovane operaia dall’infanzia tormentata.
Cos’è il successo? Per Marilyn è tutto. Lei vuole arrivare. Stella del cinema. Ma è dura. Fa la comparsa. Non dice una parola. O se la dice, magari i registi, al montaggio, tagliano la scena. E poi i contratti scadono. Norma non ancora Marilyn è senza lavoro. S’arrangia. Si dispera. Va avanti. E arriva al traguardo.
Accidenti che determinazione! Che grinta! Anche se resterà l’amarezza per quel mondo che stenta a considerarla una grande attrice. Brutta storia per un mito. S’esprime ancora in un accenno di sorriso, una smorfia di malinconia, di noia della vita.
Cos’è il successo? Per Vivian Maier, bambinaia e oscuro genio della fotografia, è una parola senza senso. Vivian gira il mondo, al seguito di ricche famiglie borghesi, cresce i loro figli, e intanto ritrae mirabilmente mezzo secolo di storia.
Lei è consapevole di avere in mano un patrimonio. Ma se lo tiene per sé. Le sue foto sono le sue foto. Non un mezzo per apparire sulla scena del Pianeta. Anche se si comporta come una che sa. Sa che un giorno quegli scatti porteranno al successo il suo immenso talento. Ma lei non ci sarà più. Lei è soddisfatta della sua vita. I divi le interessano soltanto come soggetto da ritrarre. Con l’obiettivo qui cattura Kirk Douglas con la moglie Anne Buydens. L’umile bambinaia mette in scena la storia del cinema.
Marilyn e Vivian. Due donne americane nate nel 1926. Vivian il primo febbraio, Marilyn il primo giugno. Mettiamo che s’incontrino negli anni cinquanta.
Esterno giorno – strada di New York – Manhattan.
Due ragazze di 25 anni o poco più, curiose, intelligenti. Due artiste straordinarie. Una in pubblico, l’altra in privato. Una frequenta il successo, l’altra se ne tiene alla larga. Dialogano. Accompagnano le parole con ampio movimento delle braccia. Poi si salutano. E spariscono con passo affrettato dallo spazio della macchina da presa.
Di che hanno parlato? Sono amiche? Si sono conosciute per caso? Sicuramente hanno in comune il senso dell’inquadratura. Della bellezza. Dell’armonia. Dell’eleganza. Cercano l’equilibrio, il centro di gravità. La realizzazione per una giovane donna americana anni cinquanta. E Vivian si rappresenta così, come in un’opera d’arte metafisica.
Marilyn e Vivian. Così lontane e così vicine. I loro segreti in un pugno di foto. Geniali quelle di Vivian. Stupefacenti i ritratti di Marilyn negli scatti di Richard Avedon. E dunque Marilyn Monroe inedita, ma che in realtà inedita non è. Ma anche lo è. Il senso lo spiegherò dopo. Ora la storia. Richard Avedon è un artista che ha cambiato il concetto di fotografia nella moda. Nel 1958 la rivista Life Magazine chiede a lui e a Marilyn di ricreare le immagini di cinque attrici celebri che hanno segnato diverse epoche. Nella foto di copertina ho scelto la Marilyn che ritengo più sconvolgente. Lei si trasforma in Theda Bara, la Diva del muto, la vamp – da vampire, vampiro – che nel 1915 interpreta proprio il film La vampira, diretto da Frank Powell. Theda Bara è la femme fatale, la tentatrice. Eccola nel vistoso costume di Cleopatra, 1917, regia di J. Gordon Edwards.
E ora procediamo velocemente agli altri confronti. La Monroe è Clara Bow, sex symbol dell’età del jazz. Diva dei ruggenti anni venti, ispira il personaggio di Betty Boop. Ecco Marilyn.
Ed ecco l’originale. Un ritratto in bianco e nero che dobbiamo immaginare con i capelli rossi, direttamente usciti da una Festa Mobile.
Ora facciamo un passo indietro nella storia del cinema. Marilyn Monroe inedita come Lillian Russel, classe 1860.
E questa è lei, Lillian, cantante e attrice di commedie leggere, ideale femminile della sua generazione.
Anche Monroe-Dietrich è firmata Avedon. La quinta e ultima è Jean Harlow, davvero un mito, anche per Marilyn, che proprio a lei si ispira per i capelli biondo platino e per la sensualità che incanta il pubblico. Marlilyn Monroe progettava un film su Jean Harlow. Questa è Monroe-Harlow.
E questa verrebbe da dire è Harlow-Monroe, se Jean Harlow, attrice mitica, non fosse morta nel 1937, a 26 anni, quando Marilyn Monroe ne aveva 11 e si chiamava ancora Norma Jeane.
E dunque le foto, queste foto. Svelano il mistero di un’attrice che avrebbe potuto interpretare tutti i ruoli, tutte le commedie e i drammi del mondo, non solo quello della sua vita, se una certa industria l’avesse voluto, le avesse dato fiducia. Marilyn Monroe, nei ritratti di Richard Avedon, è la storia del cinema. Non l’attrice, ma le attrici. Non la diva, ma il divismo in persona.
In questo senso Marilyn Monroe inedita. Inconsueta. Insolita. Ma anche straordinaria interprete, capace in pochi scatti di dar vita al mito femminile nell’arco di cent’anni. Di raccontare le dive, le stelle. E le grandi donne. Come, contrariamente alle apparenze, è la protagonista di Colazione da Tiffany, il romanzo di Truman Capote, da cui è stato tratto il famoso film. Affascinante Audrey Hepburn, ma lo stesso Capote aveva pensato a Marilyn Monroe.
Holly è in realtà Norma, che tenta la fortuna a Hollywood, in piccole parti. Ingenua e sincera quanto basta per essere cacciata dal mercato dove si comprano bugie, come Brecht definisce Hollywood. Solo che nel film tutti vissero felici e contenti. Nel libro no, si delinea la rivolta contro quell’ambiente che decreterà l’emarginazione e l’annientamento di Truman Capote.
Nella realtà Norma Jeane è talmente caparbia, coraggiosa e brava, che il traguardo lo raggiunge. Ma quel traguardo è sinonimo della sua fine tragica. I tre matrimoni, le sofferenze, le gioie e tutto il resto, probabilmente le passano davanti come un film visto da un’auto in corsa.
Torniamo a The Misfits. Gli Spostati. È praticamente l’ultimo film per Marilyn. Ne gira anche un altro, Something’s Got To Give, ma non lo conclude. Per lei la vita si ferma nell’agosto del ‘62. Per Clark Gable ancora prima, ucciso da un infarto pochi giorni dopo la fine delle riprese. Con loro c’è Montgomery Clift, che muore nel ‘66: “Il più lungo suicidio della storia del cinema”, è stato detto.
John Huston, con la sceneggiatura di Arthur Miller, confeziona un capolavoro, ma non ha successo.
I protagonisti sono tre sbandati che vanno a caccia di cavalli nel deserto del Nevada. È metafora della precarietà della vita, della società, di Hollywood. E i tre attori sono bravissimi. Per Marilyn Monroe è probabilmente la migliore interpretazione. Ecco il trailer originale.
Tra Marilyn Monroe e Monty Clift c’era un rapporto speciale. Lui omosessuale, e per lo star system doveva essere macho. Lei malata d’infelicità, e doveva essere l’immagine della gioia. Li univa l’insostenibilità di quella vita. L’uno si preoccupava dell’altro.
Clift era l’attore più grande di Hollywood. Forse anche più di Marlon Brando. Lei era un’attrice bella e brava. Entrambi sensibili. Entrambi ai margini. Entrambi ribelli. Insieme, nell’ultima foto.