ANCHE LUI, come me, era convinto che la bellezza – quella vera – è invisibile : o meglio visibile solo a occhi allenati, esperti, sensibili, indagatori. Anche lui era convinto che la bellezza s’ associa sempre, o quasi, all’idea di una donna nascosta, un pò timida, che si rifugia in un monolocale di Parigi.
Andò a Parigi – come avrei fatto io, se non avessi avuto quel fastidioso, persistente, dolore alla schiena – a cercare la donna della sua vita. Ci andò spinto – risucchiato – da due ordini di motivi:
UNO. Un suo amico particolarmente invidioso e poco sereno – a volte gli amici, valutato il saldo costi-benefici, bisogna accettarli con tanti difetti – aveva perso l’invidia e trovato la serenità – a lui pareva – per merito d’una parigina, una commessa dei magazzini Lafayette, che a lui – come a me, che me ne morivo per il mal di schiena – non era sembrata bella e che, in un secondo tempo, aveva scoperto interessante e, in un terzo tempo, perfino conturbante. “La bellezza forse cambia con
l’ umidità”, mi disse e, in effetti, a Les Halles, quella mattina pioveva che Dio gliela mandava. Lei insegnava francese e lui aveva pensato per un attimo – come del resto avrei fatto anch’io – di prendere lezioni di francese, salvo poi abbandonare l’idea, perché l’aveva reputata una scorciatoia, troppo comoda e assolutamente stucchevole, sulla strada per Parigi.
DUE. Una ragazza di Versailles, che aveva conosciuto in un paesino di montagna – ed io con lui, io che frequentavo un’amica di quella ragazza – aveva fatto perdere le tracce, prima di giurargli amore eterno. E lui – come me – sapeva bene che, per quel supremo giuramento, sarebbero bastati ancora pochi giorni, forse uno. Ma era l’ultimo dell’anno di quell’indimenticabile ‘89 e quella ragazza , che non aveva voluto seguirlo in Corsica nè sulla Costa Azzurra, seguì qualcun altro in America. Non un uomo, ma un’amica. E lui – io ero presente – le aveva detto con un sorriso beffardo e disperato:” Ho incontrato la donna che mi capisce, che mi accetta ed ora se ne va.” E lei aveva risposto – posso testimoniare – con il sorriso più dolce del mondo:”Ti lascerò il mio indirizzo”.
Il paese di montagna era coperto di nuvole scure e basse che – ad onta del loro aspetto – divennero sinonimo di felicità, ma lei non gli lasciò quell’indirizzo, forse uno scherzo, cattivo gusto, forse si dimenticò. Ma lui era convinto che un giorno l’avrebbe incontrata in una strada di Parigi, magari in un vicolo cieco, uno di quei viottoli che si prendono per sbaglio e sembrano – anzi sono – un segno del destino, e le avrebbe gridato:”Valerie”, e lei avrebbe risposto:”Sono qui, ti aspettavo”.
Andò a Parigi, dunque, e c’era da due settimane quando, su e giù per i magazzini Lafayette, improvvisamente urtò una ragazza, una giovane commessa che gli disse – posso giurarlo – “Exousez moi, monsieur”e proseguì senza nemmeno guardarlo. Ma lui si che l’aveva vista, era bionda e sembrava una fotocopia, al positivo, di una ragazza bruna, col caschetto alla Valentina, che lui aveva conosciuto nella sua giovinezza, di cui si era perdutamente innamorato ed era quasi morto d’amore, prima di rabbrividire davanti a tre ( o quattro) frasi di Walter ( Benjamin) che lei aveva citato, impedendo fra di loro qualsiasi forma d’intimità.
Problema: come si può conquistare una ragazza dei magazzini Lafayette? O meglio, non una ragazza ma un ideale incarnato in sembianze femminili, senza correre il rischio che ti si spezzi tra le mani e che possa essere l’origine di una improvvisa, inarrestabile, crisi di panico, d’identità?
Egli – è stato lui a raccontarmelo – non dormì per tre giorni e tre notti, provando quell’ansioso desiderio d’una donna, che probabilmente non provava più dall’adolescenza, o comunque dalle sue prime sofferte, angosciose, esperienze. Dopo la terza notte in bianco, bevve un litro di caffè francese e cominciò a passeggiare per “Les Halles”, fino a quella strada dove le prostitute ammiccano dai portoncini e t’invitano con la loro bellezza discreta, misurata, non invadente. Niente a che fare con la bellezza spudorata di Pigalle. Era “Les Halles, il cuore di Parigi. A pochi passi riconobbe il gran profilo del “Centre Pompidou”. Inforcò una delle più affollate scale mobili del mondo e, giunto alla biblioteca di Babele, scartò accuratamente i libri, fissando senza poter staccare lo sguardo, una vecchia rivista con l’immagine di Romy Schneider. Chi lo vide pensò che si fosse innamorato di quell’ immagine, di quel monumento cinematografico, ma aveva solo realizzato – confrontando Romy alla commessa dei Lafayette e queste due a Valerie – che l’ideale ha alcuni tratti caratteristici, che però è impossibile descriverli, dar loro maturazione linguistica.
A questo punto – mi confessò – gli era sembrato di vivere dento un film di Bunuel, “Quell’oscuro oggetto del desiderio”, in cui Romy e Valerie e la ragazza dei Lafayette (che per comodità chiameremo Genevieve) erano perfettamente intercambiabili, perché qualcosa di impercettibile, di non riassumibile, non sintetizzabile, ne faceva un’unica donna, impareggiabile. Con tutte e tre – o meglio, con le loro immagini – se n’andò all’Ile Saint Luois – isola di bellezza al centro della città, isola discreta, quieta – nei cui ristoranti si bevevano due bottiglie di “vin rouge” e si mangiavano patatine fritte a volontà, insieme all’arrosto, circondati dai professori e dalle loro belle allieve.
Roma, Valerie e Genevieve si trovarono perfettamente a loro agio. Conoscevano bene l’Ile Saint Louis e s’erano più volte rifugiate nei suoi alberghetti quando Parigi era sembrata loro troppo caotica. Genevieve o forse Valerie o forse Romy gli disse:”Che cosa vai cercando a Parigi?” Lui rispose:”La bellezza, quella timida, inaspettata”. Valerie o Genevieve o Romy allora fece:”Sono io!” E lui;”Si vabbè, ma chi delle tre!” Romy o Genevieve o Valerie confermò:”Io, io, io…”
Lui – me n’accorsi – ancora una volta non riusciva a decifrare il film di Bunuel: troppo complicato, troppo surreale. Ma di fronte alla bellezza non plateale, timida, discreta, senza sfrontatezza, non si pose domande. Decise di vivere a Parigi, con quelle tre donne, con quei tre ideali. Alzò lo guardò, le nuvole erano basse e scure sull’ Ile Saint Louis e probabilmente anche su Les Halles, proprio come in quel paesino di montagna dove nuvole basse e scure erano diventate sinonimo di gioia, non di felicità.
Facebook
Twitter
LinkedIn
Post Recenti
Sergio Tofano maestro d’ironia
4 Ottobre 2020
Il lungo sguardo
30 Agosto 2020
Gassman il mattatore
4 Agosto 2020
Una donna semplice
23 Giugno 2020
Il sogno americano
9 Giugno 2020
Attilio Gatto
Nato il 17 ottobre 1955. Giornalista, ha lavorato per l’Unità, Paese Sera e alla sede Rai per la Sardegna. Si è laureato in lettere all’Università di Cagliari, con una tesi in storia del teatro.
Post correlati
Sognando la libertà
23 Aprile 2021
Sergio Tofano maestro d’ironia
4 Ottobre 2020
Il lungo sguardo
30 Agosto 2020