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Una donna, un’attrice, un personaggio. Non si è spenta quella luce negli occhi. Lucia Bosè se n’è andata a 89 anni, ma ci ha lasciato il suo fascino e la sua leggerezza, la sua cultura e la sua ironia, la sua eleganza sobria nonostante e anzi proprio per i suoi capelli blu. “Avanguardia pura, moderna e illuminata”, ha commentato Lia Careddu, interprete-immagine del teatro sardo, dell’Isola che s’affaccia al mondo. Perché la Bosè era lei stessa un’opera d’arte, costruita in totale autonomia pensando forse all’amico Pablo Picasso, al suo periodo blu, come quella magnifica chioma che sottolinea una presenza straniante sulle ali di un “caos calmo”.

Quanta strada da quel dì che incontrò Luchino Visconti e Giorgio De Lullo, commessa in una famosa pasticceria milanese. Visconti la fissò e le disse:”Tu farai l’attrice”. E così fu, dopo la vittoria a Miss Italia – nel ‘47, a Stresa, appena sedicenne, – imponendosi su Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Eleonora Rossi Drago e Gianna Maria Canale. Il debutto sul grande schermo nel ‘50 con due film che hanno lasciato il segno nella storia del cinema: “Non c’è pace tra gli ulivi”, di Giuseppe De Santis, e “Cronaca di un amore”, primo lungometraggio di Michelangelo Antonioni, al fianco del divo Massimo Girotti, l’indimenticato interprete di “Ossessione”, il capolavoro di Visconti che sconvolse gli intrecci rassicuranti dei “telefoni bianchi”. E nel cast dell’opera prima di Antonioni c’era anche Rubi Dalma, nome d’arte di Giusta Manca di Villahermosa, nata a Milano da una famiglia nobile cagliaritana, che si rivelò al grande pubblico proprio nella parte dell’aristocratica, accanto a Vittorio de Sica, nel film “Il signor Max”, diretto da Mario Camerini.

Ma Lucia Bosè non si ferma qui. Eccola diretta da una lunga schiera di “talentacci”: Emmer, Soldati, Bolognini, Fellini, Rosi, Maselli, Faenza, Buñuel, Cocteau, Özpetek, Jeanne Moreau, Liliana Cavani.

E dappertutto porta con sé il suo stile inconfondibile, “la bellezza quotidiana”, come recita il titolo dell’autobiografia di un’altra grande attrice scomparsa lo scorso anno, Ilaria Occhini. Con la stessa semplicità un po’ folle della Occhini, Lucia Bosè accompagna la sua bellezza “come una cosa, una borsetta, un foulard che porto con me, non ne parlo con nessun vanto.” E volendo cercare le stesse qualità tra le grandi interpreti del teatro e del cinema salta subito in mente Mariangela Melato, fascino composto ma anche esagerato, voce roca al servizio d’una recitazione assolutamente non naturalistica, frutto d’una ricerca  sorprendente e innovativa, sia nelle commedie grottesche di Lina Wertmuller che nella grande macchina scenica dell’”Orlando Furioso” di Luca Ronconi.

Lucia Bosè dunque è in buona compagnia tra le signore dello spettacolo italiano cui devono guardare le nuove leve. Personalmente ricordo Valeria Moriconi, Valentina Cortese e Anna Proclemer, che hanno recitato a Cagliari e a Nora, incantando il pubblico. Grandi donne, carisma e professionalità, invenzioni linguistiche capaci di catturare gli spettatori, di soggiogarli. 

In fondo basta solo una parola per dare forma alla loro arte, una parola autentica ed evocativa: “bella” è quel che ha detto di Lucia Bosè l’attrice Marina Giordana, bella di una bellezza irregolare, classica ma anche un po’ cubista, invisibile ad occhi inesperti, molto spagnola come i film di Buñuel e Almodovar, affascinante perché imprevedibile e surreale. Marina Giordana è figlia di una coppia d’assi dello spettacolo italiano, Claudio Gora e Marina Berti. La Berti ho avuto modo di intervistarla, tanti anni fa, a Cagliari, per “Radio Flash”, la radio di “Paese Sera”. Sembrava stanca, un po’ annoiata, ma appena le ho rivolto la prima domanda, come per magia la trasformazione, quella luce negli occhi che l’attrice certamente crea al momento opportuno, ma che è anche una sua dote naturale, un riflesso della sua bellezza, miscuglio di talento, intelligenza e carattere. La stessa luce della Bosè. “Una vita senza trucco”.

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