Ci sono cose che per capirle serve tempo ed esperienza; e cose che quando uno ha esperienza non le capisce più. Cose che per fortuna si dimenticano e cose che per fortuna si ricordano; e cose che si credono dimenticate e che invece un giorno all’improvviso ritornano alla mente.
Confesso. Questo eloquente frammento di Sos Sinnos l’ho sottratto a Wikipedia. Curiosavo nella biografia di Michelangelo Pira affidata alla rete, dopo aver frugato tra le pagine della sua eredità, La rivolta dell’oggetto, e – come dice Oscar Wilde – si può resistere a tutto tranne che alle tentazioni.
Michelangelo Pira. I conflitti della Sardegna.
L’intellettuale – famiglia di pastori – che ha raccontato i conflitti antichi della Sardegna con gli strumenti più avanzati della linguistica e della semiologia, è nato a Bitti nel 1928.
Io l’ho conosciuto nel ‘74. Avevo 19 anni e lui 46. Me lo ricordo come fosse oggi, pronto a dare consigli, mai in cattedra, sensibile e misurato, come il suo linguaggio, quello di cui s’era impossessato con la forza dell’identità e della cultura.
Michelangelo Pira. Tra due lingue.
Leggo dalla premessa alla Rivolta dell’oggetto di “una scuola elementare di un paese della Barbagia”, quando “un bambino…si sentì trattare come un alunno-oggetto…faticò non poco a riconoscersi, a re-istituirsi come soggetto.”
Sono parole del 1978, che però ci aiutano a decifrare l’oggi, le culture e i linguaggi che si confrontano e si scontrano.
Quel bambino è Michelangelo Pira, eppure sembra un qualsiasi ragazzo tra due lingue che cammina nelle nostre strade, magari un immigrato sradicato dalla sua terra o un giovane del Sud Europa – italiano o spagnolo – costretto a cercare fortuna nella Gran Bretagna della Brexit.
Molto tempo è passato, ma non sono invecchiati i libri di Michelangelo Pira. Lui era maestro di scrittura essenziale, affilata, frasi levigate, niente fronzoli, nessun ricamo, nemico della costruzione involuta, che rivela un notevole tasso di confusione dalle parti del cervello.
Michelangelo Pira. L’intellettuale, l’impegno.
La lingua ha mille frecce, può abbattere muri o sollevarli, far incontrare culture o mortificarle. Nelle difficoltà del nostro tempo, gli spazi sembrano chiudersi come le stanze delle nostre case.
Perciò Michelangelo Pira ci manca. Ci ha lasciato troppo presto. Nel 1980. Poco più che cinquantenne.
Se osservo Il mondo attuale, mi chiedo: chissà cosa direbbe Michelangelo? Poi cerco suggerimenti nei suoi scritti, nella sua eredità.
E anche nelle immagini luminose della sua bella casa di Capitana. Ricordo, nel giardino, un gruppo di intellettuali davanti agli Inti Illimani che suonano le loro famose canzoni di lotta: El pueblo unido / jamás será vencido. Sempre a Capitana, tutti gli amici riuniti per l’analisi strutturale di un documentario realizzato da uno di noi giovani di allora. E poi le imperdibili lezioni di antropologia culturale alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Cagliari, sapienza che liberava vite di popoli prigionieri dell’oblio. E i consigli preziosi: a me, che dovevo laurearmi in storia del teatro, regalò un titolo, La piazza come spazio scenico.
Michelangelo Pira. Lo scrittore, il giornalista.
Al teatro come alla poesia Michelangelo Pira era intimamente legato: con Paska Devaddis ha dato corpo a una Sardegna tragica, storia di una disamistade in cui le sfumature dei caratteri svettano in un intreccio solido e visionario.
E non si può non ricordare il dibattito, nella pagina culturale de L’Unione Sarda, su Padre Padrone, il film dei Taviani tratto dal libro di Gavino Ledda, con Pira aspramente critico. Di grande efficacia i suoi articoli su Paese Sera, quando analizzava il folle linguaggio delle Brigate Rosse.
E quello stupefacente dialogo televisivo tra Michelangelo Pira e il suo amico di gioventù, l’intellettuale e il pastore che colmano le distanze con le parole dei padri e delle madri.
Come tutti i grandi poeti e scrittori, Michelangelo Pira sapeva raccontare con voce particolarmente adatta al mezzo radiofonico. La sua cultura orale aveva la padronanza delle pause, dei tempi, dei toni da affidare ai racconti e alla cronaca.
Storico Il Controgiornale, che rivelò lucidamente questioni irrisolte e grandi contraddizioni dell’isola. “L’unico esempio di informazione veramente libera, quando i quotidiani sardi erano in mano a Rovelli”, sottolinea Romano Cannas che, come direttore della sede Rai per la Sardegna, avviò Teche Aperte, recuperando un patrimonio culturale oggi in rete nelle pagine di Sardegnadigitallibrary.
Un progetto grazie al quale possiamo sentire Michelangelo Pira che recita una sua poesia su Gramsci, che parla di emigrazione, che scandisce le parole di Luigi Tenco – Ciao amore, ciao – in lingua sarda. Mentre le parole di Michelangelo Pira, quelle di Sos Sinnos, riecheggiano nelle voci dell’attore Giovanni Carroni e dell’antropologo Bachisio Bandinu.
Michelangelo Pira. L’eredità.
Quando un intellettuale riesce a comunicare la sua visione del mondo con linguaggio semplice – non semplicistico – e poi a tradurla anche in poesia, allora abbiamo la sintesi perfetta dell’uomo pronto ad affrontare e superare qualsiasi ostacolo all’integrazione delle culture. Michelangelo Pira ce l’ha insegnato con la sua vita e le sue opere.
Per concludere voglio ricordare un episodio, che mi ha raccontato Giuseppe Podda, grande amico di Michelangelo Pira.
Un giorno una persona avvicinò Michelangelo e gli disse:”Perché frequenti Podda? È figlio di pescatori.” Senza battere ciglio, con un candore che non poteva nascondere l’orgoglio di appartenenza, Michelangelo rispose:”Beh! Io sono figlio di pastori!”