La maschera della risata
Improvvisamente il piccolo corvo funebre soffiò sulla candela, alzò la bombetta e disse al pubblico: Buona Pasqua! Ma non era Pasqua. Era novembre e la sua voce era quella di un sepolto vivo che chiedeva aiuto.
La maschera di Totò svelata da Federico Fellini è come quella di Pulcinella, della beffarda tradizione napoletana di cui il Principe della risata è figlio.
Sì, possiamo proprio dirlo, è Totò il Pulcinella di Fellini. Il personaggio della commedia dell’arte che alimenta la fantasia del grande regista romagnolo.
Giovanissimo, appena 18enne, Fellini vede Totò 40enne sul palcoscenico di un cinema Romano, nei suoi vagabondaggi notturni, alla ricerca d’ispirazione, di soggetti per i suoi disegni, di sortilegi per i progetti dei suoi film visionari. E se ne innamora, sorpreso dall’imprendibile, da un comico che non è riconducibile a nessun altro, che si presenta al pubblico in una veste surreale, venata d’ironia, ma anche di nostalgia, di malinconia.
Totò il Pulcinella di Fellini. Comico delle meraviglie.
Davanti a Totò si era colpiti dalla stessa meraviglia che prova un bambino di fronte a un fenomeno meraviglioso, a un’apparizione sorprendente, a un animale fantastico come la giraffa, il pellicano, il bradipo, una meraviglia mista alla gioia e alla gratitudine di vedere materializzarsi l’incredibile, il prodigioso e il fiabesco.
Questo volto improbabile – una testa di argilla staccatasi dalla statua e ricomposta affrettatamente prima dell’arrivo dello scultore, al quale si vuole nascondere la catastrofe; questo corpo disarticolato, di gomma, questo corpo da marziano, da robot, da incubo gioioso; questa creatura di un’altra dimensione, questa voce sorda, lontana, disperata: tutto era inatteso, inaudito, imprevedibile, differente, che subito ci comunicò un muto stupore, ma anche una ribellione nuova, un senso di totale libertà verso ogni tabù, ogni legge e norma, contro tutto ciò che è legittimo, lecito e codificato dalla logica.
E dunque la sorpresa, lo stupore, l’ansia di ribellione del giovane Fellini, famelico di novità, curioso e affascinato, attratto dai personaggi che realizzano le sue fantasie, dai segreti nascosti dietro le apparenze.
Con Rimini nella memoria, Fellini immagina il suo mondo, la sua Roma, scava nelle viscere della Città Eterna.
Totò già ci aveva lasciato quando Fellini fa questo viaggio nella sua Roma surreale ed evocatrice di altri tempi ed altri spazi. Ma quanto ci sarebbe stata bene, nel film sulla Capitale, quella inarrivabile maschera napoletana. Come probabilmente Il Totò Pulcinella di Fellini si sarebbe trovato a suo agio in questa scena di Amarcord, partenopeo tra i romagnoli.
Totò il Pulcinella di Fellini. Il film.
Fellini non ha fatto mai un film con Totò, ma non è vero che non lo ha diretto. È avvenuto per un film di Roberto Rossellini, Dov’è la libertà. “Ebbene, a causa di un’indisposizione di Rossellini – cito da Milena la rivista, “è proprio Fellini ad essere chiamato in sostituzione dell’amico” a girare la scena finale. Il film è del 1952. Gli sceneggiatori sono grandi nomi: Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Antonio Pietrangeli e Vincenzo Talarico. Tra gli interpreti, accanto a Totò, Franca Faldini, Leopoldo Trieste e Mario Castellani.
Il film racconta la storia di un barbiere che esce di galera, dopo una lunga detenzione per aver ucciso un amico che insidiava sua moglie. Ed è “spaesato, amareggiato, deluso dalla vita.”
In questa scena Totò è con Leopoldo Trieste, che interpreta Abramo Piperno, ebreo scampato ad Auschwitz, dove ha perso tutta la famiglia. E la famiglia che ospita Totò-Salvatore Lo Jacono “si è arricchita con i soldi rubati agli ebrei deportati nei lager nazisti.”
Grande interpretazione di Totò in un film d’autore. Ma la prima apparizione del Pulcinella Totò, quella del cinema nel ventre di Roma, risale all’anteguerra. Ed esplode la meraviglia, quella che alimenta i sogni di Fellini. Sogni che diverranno film, immagini della storia del cinema, che ognuno di noi si porta appresso.
Ho da poco rivisto il Casanova di Fellini. L’ho trovato attuale, magico, con maschere che si aggirano in una Venezia mai vista, fantastica, ricostruita a Cinecittà con più acqua e con macchine sceniche ed effetti d’avanguardia per gli anni settanta.
Ma torniamo a Totò, al burattino snodabile, animale da palcoscenico ribelle e malinconico.
Insomma, Totò il Pulcinella di Fellini.
Come tutti i grandi clown Totò incarnava la contestazione nella sua totalità. La scoperta più emozionante e confortante fu l’aver riconosciuto in lui tutta la storia e gli aspetti caratteristici degli italiani portati agli estremi: la nostra fame, la nostra miseria, l’ignoranza, l’indifferenza piccolo borghese, la rassegnazione, lo scetticismo, la vigliaccheria di Pulcinella. Davanti a questo pubblico limitato e accaldato, così attento e riconoscente, Totò, elegante, divertente e lunare incarnava l’eterna dialettica dell’abiezione e della sua negazione.
Totò il Pulcinella di Fellini. Scala di Ferro.
Questo Totò Pulcinella che stupisce Fellini, nel 1938 conquista Cagliari con le sue feroci satire rivolte ai gerarchi fascisti. Soprattutto si racconta delle battute in sardo che fanno scattare applausi e risate. La città in festa, la compagnia di Totò inaugura l ‘Arena Odeon di via Garibaldi. Il Principe de Curtis naturalmente alloggia nell’albergo più prestigioso, la Scala di Ferro, in centro, Viale Regina Margherita.
E a me pare di ricordare una foto di Totò, affacciato alla finestra della sua camera, lo sguardo a cercare il mare, che probabilmente gli ricorda la sua Napoli.
Se quella foto esiste, io purtroppo non l’ho trovata, ma è facile immaginare la maschera di Totò, ironia che si mescola alla sua solita malinconia.
Pochi mesi dopo l’apparizione nel cinema Romano Fellini incontra Totò per un’intervista e, quando il regista diviene famoso, si cercano per stima reciproca, e probabilmente intuendo anche il felice esito di una collaborazione fra due geni accomunati da un meraviglioso patrimonio di inventiva e fantasia.
Ci sarebbero stati contatti per Giulietta degli spiriti, ma non se ne fa niente, e per Il viaggio di G. Mastorna, progetto che Fellini non realizza.
E invece è Pasolini a dargli la soddisfazione del grande film d’autore.
Totò il Pulcinella di Fellini. Stima e amicizia.
”Siete diventato un reggistone”, (sì, proprio con due g), disse una volta Il Principe de Curtis a Fellini, ma gli permise di chiamarlo semplicemente Antonio.
Quindi l’intesa c’era. Ma questa è la storia di un innamoramento che non porta al matrimonio. Resta il dialogo, l’amicizia tra due prodigiosi talenti che avrebbero voluto varcare la linea di confine tra due universi poetici perfettamente compatibili.
Totò fu spesso maltrattato dai critici, anche se fior di intellettuali scrivevano i suoi film. E le sue grandi potenzialità oggi riconosciute – e da Fellini apprezzate nell’incanto di un attimo – si esprimono pienamente in un film come Animali Pazzi. Girato nel 1939, regia di Carlo Ludovico Bragaglia, soggetto di Achille Campanile.
Totò il Pulcinella di Fellini. Animali pazzi.
Quanti ruoli ha interpretato Totò! Quante volte ci ha fatto ridere, divertire, entusiasmare! Ma in Animali pazzi la sua maschera sembra davvero l’espressione della grande avanguardia, quella che naturalmente era nelle sue corde, nella sensibilità di un grande attore che sapeva reinventarsi con la tecnica, con l’improvvisazione, con uno stupefacente patrimonio di parole e di gesti. Ancora prima che con le battute, con un sorprendente, coinvolgente, linguaggio del corpo.
(Totò visto da Fellini, nella prima illustrazione, rivisitata da
Stefania Morgante).
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